Il diritto romano obbligava alla monogamia, mentre ammetteva la prostituzione, il concubinato, il sesso extraconiugale, il sesso omosessuale e il sesso con gli schiavi.
All’origine il matrimonio non era basato su alcun rito, era sufficiente la convivenza cum affectione a sancire legalmente l’unione.
Fu con gli ordinamenti dell’antica Roma che, almeno fra le culture mediterranee, ebbe diffusione un criterio distintivo della famiglia “legalizzata” dal rito pubblico, originandosi una sperequazione, non disgiunta da una qualche riprovazione sociale, nei confronti dei “figli naturali” e di quelle che con espressione dei nostri giorni si potrebbero chiamare “unioni di fatto”. Col diritto romano la coppia di coniugi veniva distinta, attraverso il rito di pubblica valenza, come una famiglia, centro di imputazione di una raggiera di diritti e di obblighi, tanto fra i coniugi che fra questi ed il mondo esterno, la posizione dei figli situandosi in dipendenza di quella dei legittimi genitori. L’individuazione a fini sociali della famiglia rifletteva tanto l’esigenza di ordinare la materia, quanto il retaggio delle molte variegate formule già in uso presso culture o religioni precedenti l’era romana.
La formula matrimoniale latina, nella sua estrema concisione, “Ubi tu Gaius, ego Gaia”, sintetizza la condizione della donna che la pronunziava e che con questa dichiarazione si sottometteva alla potestas del marito, contestualmente lasciando quella del pater familias, venendone ascritta al complesso dei beni disponibili.
È ben nota la definizione del giurista romano Modestino, secondo cui nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio (“le nozze sono l’unione tra uomo e donna implicante un consorzio di tutta la vita, retta dal diritto divino e umano”).
Il matrimonio romano era organizzato dai padri dei futuri sposi, che facevano conoscenza solo al momento del loro fidanzamento (in occasione del quale il giovane promesso sposo offriva del pane). Il matrimonio faceva parte dei doveri del cittadino romano.
La data della cerimonia e il suo svolgimento erano soggetti ai presagi degli auguri, come lo erano tutte le azioni della vita di un Romano.
La sposa era vestita di bianco, coperta dal velarium flammeum, velo di colore arancio, e incoronata di una corona di fiori.
Le justae nuptiae (giuste nozze) erano tuttavia riservate ai soli cittadini romani; era questo l’unico matrimonio riconosciuto dal diritto. In tutti gli altri casi, (un cittadino e una non-cittadina, o una schiava) il matrimonio non era riconosciuto, e i bambini nati da tali unioni erano illegittimi. Gli sposi dipendevano allora dalla giurisdizione del loro paese d’origine. Nel caso degli schiavi, il loro padrone poteva accordargli il contubernium, unione senza valore giuridico, così come poteva romperlo.